La liturgia della Parola oggi ci invita a riflettere sulla preghiera. Mosè e una povera vedova sono proposti come modelli di questa essenziale dimensione della vita di fede.
La prima lettura, mentre descrive uno scenario di guerra, contemporaneamente punta i riflettori su Mosè che, invece di combattere e guidare al combattimento, prega!
La guerra cui si fa riferimento – d’Israele contro gli Amaleciti – è una grande impresa, e Mosè si preoccupa di trovare il miglior “alleato” possibile: Dio stesso. Lo cerca in maniera insolita, sollevando le sue mani, non per brandire armi, ma per alzarle vuote e nude verso il Signore. Un gesto che riconosce ed esprime, anche per noi, il bisogno di sentirlo accanto, di sentirlo dalla propria parte come alleato potente. L’esito vittorioso della battaglia per la quale Mosè prega ci aiuta a capire che la sua scelta (una scelta faticosa, perché “sentiva pesare le mani dalla stanchezza”) non è stato un allontanarsi dalla mischia e scegliere la posizione più comoda. É stato invece un mettersi accanto agli altri, soffrendo anche lui, per raggiungere lo stesso scopo. La preghiera di Mosè, insomma, non è stato un fuggire dalle proprie responsabilità concrete, né un rifugiarsi nello spirituale per evitare il duro scontro con una realtà scomoda.
Allo stesso modo, a noi cristiani non viene chiesto di “rifugiarci” in Chiesa perché il mondo ci delude o ci spaventa. Chi prega non può essere un rassegnato o uno al quale non resta da far altro che lamentarsi! L’orante e il faticatore devono integrarsi nella stessa persona. Si prega per impegnarsi, per domandare al buon Dio il coraggio necessario per trasformare l’ordine (o il disordine) esistente. Questa è preghiera autentica!
Ma non tutte le preghiere sono “preghiera”. Si possono pronunciare formule per abitudine superstiziosa, si possono recitare preghiere per darsi facili e illusorie sicurezze e per alleggerire il peso di certi complessi di colpa. Talvolta si prega anche per sottrarsi a responsabilità precise ed esimersi da una carità molto più impegnativa. Quante preghiere fatte per i senza tetto nelle nostre Chiese, magari con la consapevolezza di avere locali e case sfitte e vuote! Quante preghiere fatte per le persone sole, mentre sprechiamo tanto tempo in chiacchiere inutili, nei nostri circoletti da perbenisti o da esperti “devoti”!
Un ultimo accenno alla figura della povera vedova del Vangelo, che chiede giustizia. Da lei impariamo che la preghiera non è l’invocazione di chi è sazio e sicuro di sé; essa è il grido del povero, di chi è calpestato e defraudato dei suoi diritti, come la povera vedova. Ma impariamo anche che la preghiera autentica è connotata da costanza e tenacia, fiduciosa nel Signore. Perciò, ripartiamo proprio dal domandare: “Signore, insegnaci a pregare”.