Per gli antichi Ebrei la Pentecoste accomunava diversi significati: originariamente era una festa agricola, caratterizzata da gioia e gratitudine per il raccolto delle primizie e della mietitura; dopo l’esilio, divenne la festa per commemorare la promulgazione della Legge sul Sinai e l’Alleanza tra Jahvé e il suo popolo. Per l’occasione, ogni anno, folle di Giudei si recavano in pellegrinaggio a Gerusalemme per fare memoria del loro passato e rinnovare l’amore per la legge ebraica.
Ma per gli apostoli quella Pentecoste è diversa dalle precedenti. Il loro cuore infatti è “stravolto” dagli avvenimenti: la passione e la morte di Gesù; l’incontro con Lui risorto; la sua ascensione al cielo. Stanno nel cenacolo, pieni di timore, con le porte sbarrate. Smarriti e impauriti, non sanno cosa fare, come muovere i primi passi, come affrontare il mondo. “A porte chiuse”, proprio come le loro menti e il loro cuore.
All’improvviso, un dono inaspettato di Dio. Lo Spirito Santo irrompe in quel luogo, ne spalanca le porte e, simbolicamente, anche il cuore dei discepoli, trasformandoli in uomini “nuovi”. Così, la paura e la chiusura di prima si trasformano in coraggio, in esigenza di uscire e parlare, per annunciare con franchezza il Cristo Risorto. Ed a proposito del “parlare”, ‐ nota Luca nella prima lettura ‐ “Ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua”. Ecco cosa avviene quando una comunità si lascia raggiungere ed animare dallo Spirito di Dio: quello che dice (testimonia) finisce per avere un senso per tutti e non solo per alcuni. Quanta sintonia, ai nostri giorni, con Papa Francesco che ama parlare di “Chiesa in uscita” o di “cultura dell’incontro”. È proprio la Chiesa nata a Pentecoste!
Ieri come oggi, dunque, la Chiesa vive dei frutti della Pentecoste. Rinnovata dallo Spirito, essa riscopre il coraggio dell’annunzio franco; si fa capire, ponendo gesti che hanno un senso per l’uomo d’oggi e che lasciano trasparire l’amore di Cristo per i più deboli; non si rassegna ad essere “innocua”, ridotta a puntello dell’ordine costituito ed elemento decorativo nel panorama delle feste. “Tutti ‐ osserva ancora Luca ‐ erano stupiti e si domandavano…”: ecco una Chiesa che suscita anche stupore, perché cammina con gli uomini e le donne del proprio tempo senza la pretesa di giustificarsi o di esaltarsi.
Anche noi, dunque, apriamoci al dono dello Spirito, per essere Chiesa capace di uno stile di vita nuovo; per essere inclini a vedere nell’altro un fratello, non un concorrente; per comprendere che il Vangelo non raccoglie “buone parole”, ma propone impegni di vita su cui giocarsi le proprie possibilità; per vivere le nostre assemblee liturgiche come il luogo privilegiato per lodare la Ss. Trinità e sentirci mandati ad annunziarla, testimoniandone il progetto d’amore.