Fuori dalle sacrestie, incontro alla luce – Con l’arrivo dei Magi a Betlemme la nascita di Gesù ottiene la massima notorietà: è come se l’evangelista ci dicesse che davanti a questo evento ora siamo chiamati a prendere posizione, a dire da che parte stiamo. Su questo sfondo emerge la grandezza dei cercatori di Dio, uomini sanamente inquieti che non si accontentano dei sentieri battuti dall’abitudine o dall’ufficialità; uomini che bussano al di là dei santuari della cultura e della religiosità istituita. I rappresentanti di quest’ultima, del resto, in questo straordinario racconto fanno una figura ben meschina: si rivelano abili nello sfogliare le Scritture, addirittura hanno in mano la carta vincente – interrogati dal re “sul luogo in cui doveva nascere il Messia”, non esitano a rispondere correttamente: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto…” (Mt 2, 4-5) – ma la loro è una verità che non scalda il sangue, non mette in circolo energie, non fa uscire dai sacri palazzi per agire di conseguenza. Personaggi spenti, sono l’emblema di chi ha il cuore indurito, per cui si chiude nell’ostinazione e rifiuta la presenza del Signore: non la nega, ma si guarda bene dall’incrociarla… In fondo, sono i veri sconfitti: loro, “capi dei sacerdoti e scribi del popolo”, che non sanno andare oltre il proprio naso, incapaci di lasciarsi coinvolgere dalla novità che pur ripetono; ed Erode, vinto dalla paura di perdere il potere.
I Magi, come già i pastori, sono invece figura di quanti accolgono l’invito a mettersi in viaggio, scrutando e lasciandosi interpellare dai segni con cui il Signore anche oggi indica la strada (la stella); di coloro che non si fermano dinanzi alle difficoltà o ai momenti di disorientamento (la stella ad un certo punto scompare); di chi non è animato dall’arrogante presunzione di bastare a se stesso, ma conosce l’umiltà di chiedere, senza disdegnare la fatica del confronto: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?” (Mt 2, 2).
Trovo significativo che l’evangelista Matteo non si sia preoccupato di tramandarci il nome, il numero, la razza o il colore della pelle dei Magi, quasi a dire che rappresentano ciascuno di noi: la loro è la storia di tutti i cercatori di Dio, assetati di una luce che non tramonta con lo spegnersi della festa.
In conclusione, vorrei sottolineare due atteggiamenti concreti – il dono e la testimonianza – che ci vengono suggeriti proprio dai Magi, quale sorta di indicazione e anche di richiamo a non perderci a non volta in ricerche puramente intellettualoidi.
In altre parole, viviamo il cammino della vita offrendo con generosità, convinti che “se aspettiamo di essere ricchi prima di diventare donatori, moriamo di povertà” (Mazzolari). Nei Magi che fanno ritorno al loro Paese leggiamo il richiamo a condividere la stessa esperienza di fede: ne uscirà rafforzata anche la nostra.

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