Le letture di questa terza Domenica di Avvento ci restituiscono parole ed esperienze che devono far parte del vocabolario della vita di ogni uomo e di ogni donna credente: gioia e dubbio, invito alla gioia e consapevolezza che la vita contempla anche momenti in cui si fa fatica a credere.
Così, all’esplicito invito alla gioia della prima lettura – “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa” –  fanno da contrappunto la domanda ed  il dubbio di Giovanni: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”.
Gioia e dubbio! Due temi, o meglio due esperienze, solo apparentemente in contrasto.
“Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa”. Questo invito che Isaia rivolge al popolo di Israele fiaccato dalla dolorosa esperienza dell’esilio, oggi viene rivolto a noi. Un invito alla gioia che potrebbe cozzare con mille motivi personali e comunitari che lo rendono ingiustificato, se non proprio offensivo e frustrante. Dinanzi a tante faticose situazioni, non sarebbe più giustificato un grido di rivolta o un silenzio dignitoso e significativo? “… Poco alla volta – scrive Papa Francesco nella Evangelii gaudium – bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi” (n. 6). Ed è proprio a questa fede che rimanda Isaia, quando esorta Israele: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa”.
Una gioia che non deriva da qualche effimera conquista;  una gioia, invece, che si costruisce giorno per giorno, a contatto con la vita e immersi nella storia concreta. É la gioia di chi, vivendo nel cuore di questa storia, fatta di grandi conquiste e di cocenti sconfitte,  non smette di interrogarsi. La gioia del credente è frutto dell’interrogarsi che sempre accompagna le scelte di chi vuole giocarsi seriamente la vita su qualcosa o su qualcuno che non inganna. Come ha fatto il Battista che, dal carcere, luogo nel quale si trova per la sua fedeltà a Cristo, manda a chiedere a Gesù: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?”. Un interrogativo colmo di carica umana e di  forza da parte di Giovanni, che ora è in carcere e vive quindi il momento della prova. Come la prova che, prima o poi, tocca chiunque cerca di dare un volto concreto alla propria attesa, alla propria speranza, al proprio cammino e al proprio amore.
Al dubbio di Giovanni, reso ancora più drammatico dalla sua condizione di carcerato, Gesù fa giungere, in fondo, questa risposta: andate a riferire di me a Giovanni non parole … ma fatti e gesti concreti che liberano. Quasi a dirci che, anche nella nostra vita, ciò che aiuta a venire a capo dei dubbi e delle inevitabili perplessità è l’impegno concreto, quello che nasce dall’incontro sincero con Gesù, con i suoi gesti e, quindi, con il suo Vangelo.