Al centro del Vangelo di questa domenica, il dialogo tra Gesù e i discepoli, che Luca colloca in un contesto di preghiera. E quando essa è autentico incontro col Signore, è anche spazio in cui, dinanzi a Lui, possiamo porci le domande che contano davvero, quelle da cui dipende la nostra esistenza.

Anche le domande presenti nel dialogo tra Gesù e i discepoli (“Le folle chi dicono che io sia?”) non sono certo né un banale sondaggio d’opinione, né espressione di superficiale gossip! Lo si capisce subito nel momento in cui Gesù interpella i suoi discepoli in prima persona: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Una domanda diretta, che ancora oggi il Signore ripropone a ciascuno di noi: “Per te, chi sono io?”.  A Gesù, però, non interessano risposte prese in prestito, fossero anche “perfette” dal punto di vista dottrinale! Può anche darsi, infatti, che qualcuno di noi, magari abituato a sentire certe frasi, possa dare – come Pietro – la risposta teoricamente giusta: “Tu sei il Cristo di Dio”. Ma quest’affermazione che valore concreto ha per la mia vita? E’ questo che a Gesù interessa. In altri termini, Egli mi sta chiedendo: “Che ruolo ho nella tua vita? Sono solo un nome che hai imparato a pronunziare con rispetto? Sono uno dei tanti personaggi della storia dei quali, a parole, non sai fare a meno? O sono invece colui che è capace di rivoluzionare la tua esistenza?”. Chiedendomi: “Per te, chi sono io?”, in realtà Gesù mi domanda: “Mi accetti nella tua vita come Messia? Mi accetti come colui che dà compimento alle tue attese?”. Ed è a partire dalla risposta che diamo che Gesù invita alla sequela e a portare la croce con Lui: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

Ma perché il Signore rivolge quest’invito solo dopo la nostra risposta alla prima domanda? Perché vuole discepoli consapevoli e non gente che si muove sull’onda dell’emozione! Seguire Gesù e caricarsi della croce ogni giorno non è un atto di masochismo, né può ridursi a un gesto di vuota devozione! Piuttosto è la scelta di chi si mette, con Lui, sulla strada dell’amore vissuto fino in fondo e senza riserve. La croce, come segno supremo dell’amore, non può essere trascinata svogliatamente, come non è possibile amare davvero in maniera svogliata. Solo persone consapevoli e responsabili possono caricarla sulle proprie spalle ed accettare di mettersi con continuità sulla strada dell’amore.

Al contrario, i “mestieranti” e i “faccendieri” del sacro troveranno sempre il modo per scaricare le croci e le responsabilità sugli altri, lasciandosi la possibilità di percorrere allegramente la loro Via Crucis. L’amore vero, che passa anche dalla Croce, non si sceglie né nella misura né nella forma: esso esige solo di essere vissuto con piena generosità.

+ don Nunzio Galantino

XII Domenica T O_19 giugno 2016