Per la prima volta mi trovo a celebrare la Domenica delle Palme fuori dalla parrocchia e dalla diocesi. Rivivo con nostalgia quella processione di folla in festa, che conduceva in chiesa tra canti e rami d’ulivo, agitati in accoglienza di nostro Signore. È un segno che accomuna piazza San Pietro e il sagrato delle nostre parrocchie anche più piccole, a formare quasi un unico corteo gioioso.

Con questo gesto di fede entriamo nella grande settimana, la Settimana Santa.

L’evangelista Marco, che ha costruito il suo racconto con quel tratto caratteristico che viene chiamato “segreto messianico” – per cui Gesù impone alle persone di mantenere il silenzio sulla sua identità e sulle sue azioni – giunge infine a rivelarlo: ai piedi della croce, nel buio che avvolge il Calvario, qualcuno (e si badi: non un discepolo, non un sacerdote, ma un centurione pagano…) per la prima volta giunge al riconoscimento: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15, 39).

L’altro segno che irrompe in quello stesso momento è la rottura del velo del tempio (Mc 15,38): d’ora in poi non ci sono più ostacoli, nulla si frappone, in Gesù l’umanità ha accesso a Dio.

Non passa forse proprio da qui – dalla confessione del soldato e da quel velo squarciato – la risposta del Padre al grido lancinante del Crocifisso? Quel «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34) non solo riassume in sé il dramma del silenzio di Dio provato dai giusti di ogni tempo, ma esprime il terribile abbandono sperimentato per noi da Gesù e da lui vissuto con fiducia in Colui che rimane il suo Dio.

Siamo al cuore del mistero cristiano, mistero di passione, morte e risurrezione.

Viviamo questi giorni ponendoci davanti alla croce. Rileggiamo alla luce della Pasqua l’intera esistenza di Gesù. E, finalmente, troviamo il nostro posto: come suggerisce Papa Francesco, chiediamoci se la nostra vita è addormentata come quella dei discepoli nell’Orto del Getzemani. O se, come uno di loro, pensiamo che si possa affrontare tutto con la spada. Se, come Pilato, davanti alle responsabilità siamo pronti a lavarci le mani. O se resta in noi traccia della disponibilità del Cireneo ad aiutare chi porta la croce. Se facciamo in fretta a barattare il vero Re con il Barabba di turno. Se siamo come quanti, davanti ai crocifissi del nostro tempo, tirano dritto senza curarsene, anzi – come allora – facendosene beffe. O se, come la Madre, sappiamo sostare, compatire e condividere, pregare e sperare.

Proviamo, veramente, a non sciupare i giorni che la liturgia ci offre anche quest’anno. Non rinunciamo alla possibilità di qualche momento di preghiera prolungata, di digiuno liberante, di carità fraterna e solidale. Arriveremo a celebrare la Pasqua con un volto nuovo e faremo nostra l’esperienza rivoluzionaria del centurione romano.

Domenica delle Palme, 25 marzo 2018