Per quanto la parola “trasfigurazione” compaia solo nel Vangelo, oggi la liturgia ci presenta due trasfigurazioni; o meglio, attraverso la storia di Abramo ci fa capire quanta importanza possa avere la trasfigurazione di Cristo per noi, soprattutto se contribuisce a trasfigurare la nostra vita.
Abramo pastore – senza casa e senza terra – aveva a disposizione solo pascoli provvisori, dai quali veniva progressivamente cacciato o che comunque doveva per necessità abbandonare. La sua vita era una continua fuga ed una interminabile rinuncia. Un po’ come capita a tanti di noi, chiamati continuamente a cercare, a cambiare, a rinunciare.
Ma un giorno la fuga di Abramo «fu trasfigurata»: la sua fuga non gli sembrò più come la via dell’interminabile esilio quanto piuttosto la via che conduce a una meta.
Il Signore parlò, e quella parola «trasfigurò» la sua vita: «… vattene dal tuo paese….Abramo credette…. partì, come gli aveva ordinato il Signore … », e non come lo avevano costretto a fare le tristi necessità della vita.
D’ora in poi – cioè dal momento in cui Abramo ha messo la sua vita nelle mani di Dio – il suo camminare ha uno scopo, recupera un senso; quello scopo e quel senso che spesso mancano a noi e che rendono la nostra vita – per la loro assenza – piatta, piena di ansie, senza un motivo che unifichi i nostri sforzi e senza un motivo che giustifichi il nostro darci da fare. «Esci dalla tua terra…».
Dal momento in cui Abramo si apre al comando di Dio, la sua vita diventa un’imprevedibile avventura di comunione con Dio: Abramo è amico di Dio e Dio è il Dio di Abramo.
Dal momento in cui Abramo ascolta l’invito di Dio la sua vita e la sua esperienza non sono più vita ed esperienza di un pastore nomade: «in te saranno benedetti tutte le genti». Abramo che mette la sua vita nelle mani di Dio diventa segno di benedizione e motivo di speranza per tutti gli uomini.
La storia di Abramo ci insegna che l’incontro e l’ascolto autentici di Dio non sopportano chiusure, meschinità, interessi particolari.
Da Abramo ci viene una lezione di vita perché anche noi abbiamo la possibilità di trasfigurare la nostra quotidianità (lavoro, gioie, ansie) in altrettanti momenti di un progetto che viviamo come obbedienza della Parola, come altrettanti momenti di una vita che si lascia illuminare dall’essere stati sul monte col Signore.

Dall’ascolto di Abramo e all’ascolto di Gesù.
L’episodio delle tentazioni (domenica scorsa) pone in risalto l’atteggiamento di ascolto del Padre da parte di Gesù. Le risposte date al diavolo sono una precisa scelta per Dio; una scelta che fa di Gesù «il figlio prediletto nel quale il Padre si compiace» e che deve essere ascoltato da noi.
Ascoltare Cristo e salire con Lui sul Tabor è farlo entrare dentro di noi con i suoi progetti, con la sua vita e condividerli, impegnandoci a portarli agli altri.
Il credente è invitato continuamente a salire sul Tabor quando viene invitato ad ascoltare la parola e a pregare. Ma non siamo chiamati solo a contemplare la trasfigurazione di Gesù. Veniamo chiamati ad essere noi stessi uomini/donne trasfigurati da due parole.
La prima « E’ il mio figlio. Ascoltatelo!». La trasfigurazione inizia da qui: chi ascolta Gesù si mette sulla sua strada, diventa come lui. Perché la sua parola guarisce, cambia il cuore, rafforza, fa fiorire la vita e la rende bella.
La seconda parola è quella di Pietro: «E’ bello per noi stare qui!», dove lo “stare qui” non si riferisce a un luogo, il Tabor, ma a chi quel luogo lo rende bello e significativo.
«E’ bello stare qui, con te» afferma Pietro! La sua è molto di più una professione di fede! E’ un grido che dice tutta la gioia di appartenere a Cristo, di orientare la propria vita alla luce della sua Parola.
Solo chi vive l’esperienza dello stare con Gesù e dell’ascoltarlo contribuisce anche a trasfigurare persone e situazioni.
Non sono i grandi strateghi e i politici trasfigurare la storia, possono farlo solo i nostalgici della luce.