Il Vangelo di oggi narra l’incontro di Gesù con un uomo che pone a Lui una domanda, nella quale riassume tutto il travaglio e l’anelito del suo cuore: “Maestro, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”.

Nel racconto, quel tale non ha un nome e, forse, anche per questo, ognuno di noi può sentirsi simile a lui, fissare lo sguardo su Gesù e chiedergli di dare risposta alle tante domande che attraversano la nostra vita. Compresa quella fondamentale: qual è la via da percorrere per sperimentare la vita piena, la vita eterna? Una domanda essenziale, che prima o poi affiora nella vita di ciascuno.

Forse potremmo commentare, di primo acchito, che “quel tale” ci ispira simpatia, perché si comporta come un uomo tutto sommato straordinario, che non si accontenta, che desidera ardentemente dare una svolta e un senso pieno alla sua vita. Così infatti ce lo presenta l’evangelista Marco, descrivendo il suo modo di avvicinarsi a Gesù: corre, si getta in ginocchio, domanda. E il suo quesito al Maestro è quello di chi, pur osservando la legge, sa di non vivere ancora in pienezza.

La domanda è autentica, ma l’intenzione di quell’uomo nel porla non lo è altrettanto. Forse, quel tale non attende altro che il plauso di Gesù per il suo comportamento irreprensibile nell’osservanza dei comandamenti. Dunque, in realtà, si tratta di un uomo che chiede senza voler sapere, senza essere disposto a cambiare nulla di sé. Tant’è che, di fronte all’invito di Gesù ad “andare oltre”, ad abbandonare le sicurezze di una salvezza già “in tasca” per accettare l’incertezza della sua sequela quotidiana e la condivisione con i più poveri, l’apparente insoddisfazione iniziale dell’uomo si cambia in tristezza, rendendo il suo volto oscuro.

Quante volte anche noi ci presentiamo al Signore, implorandolo di poter conoscere la sua volontà e le sue vie, ma interiormente manteniamo un atteggiamento di chiusura verso ogni sua possibile richiesta o esigenza.

Non si può seguire Gesù da “ricchi”, cioè appagati dai “risultati” raggiunti nel cammino di fede, sazi e orgogliosi del nostro “essere osservanti”. Il Signore ci chiede di “vendere” ciò che abbiamo, per essere davvero liberi di seguirlo, sulla strada che Egli propone a ciascuno di noi. E in quel “vendere” possiamo cogliere due importanti aspetti. Per vendere qualcosa occorre anzitutto valutare il bene in vendita, prenderne consapevolezza, soppesarlo: è il momento della gratitudine a Dio per ciò che siamo, per le nostre capacità e i carismi ricevuti. Poi, dice Gesù, il ricavato “dallo ai poveri”: è il momento della condivisione fraterna. Ciò che siamo per grazia non è per noi, ma per servire i fratelli e, fra loro, i più bisognosi.

Chiediamo al Signore di renderci davvero liberi per seguirlo ogni giorno nel cammino verso la vita piena.

» XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, 11 ottobre 2015