Nel Vangelo odierno, per la terza volta, Gesù fa riferimento alla sua passione. E per la terza volta, si trova dinanzi l’incomprensione dei discepoli. Un segno della difficoltà che comporta il dire di sì seriamente a Gesù; ma anche un segno della tentazione, pur stando con Lui, di volgere lo sguardo altrove, se non proprio in direzioni opposte alla sua.

Un Vangelo sorprendente e un po’ paradossale, quello di oggi, che narra in maniera lucida ed immediata quanto accaduto tra Gesù e i discepoli, ma che anche oggi si verifica in tanti contesti umani. Da questo brano, infatti, emerge una “passione” che non risparmia quasi nessuno: la ricerca spasmodica del “primo posto”. Una passione viva ed attiva nei vari ambiti della vita, dal lavoro, alla politica, alle relazioni, fino alla stessa Chiesa.

Alcuni particolari della narrazione evangelica ne accentuano il significato. A chiedere un posto di privilegio è Giovanni, il discepolo amato, il mistico, il teologo. E lo chiede, assieme al fratello, in maniera per niente elegante: “Vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. La risposta di Gesù è decisa e, come spesso accade nei Vangeli, finisce per ribaltare le aspettative degli interlocutori. Il messaggio del Maestro è chiaro: laddove i grandi della Terra cercano, si costruiscono e si garantiscono “troni” – cioè spazi e luoghi nei quali esercitare con arroganza il loro potere -, Dio sceglie un trono scomodo (la croce), dal quale regnare con un amore senza riserve, fino al dono totale di sé. Così, mentre i grandi del mondo prediligono primeggiare sugli altri, il Signore si mette in ginocchio davanti agli “ultimi” per lavare loro i piedi; “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. E chi vuol essere suo discepolo non può che seguirne le orme, ponendosi nella medesima prospettiva. E’ vero che, talvolta, l’esortazione perentoria di Gesù ai suoi – “Tra voi non deve essere così!” – può risultare ardua da accogliere e mettere in pratica, a causa delle nostre debolezze e dei nostri limiti, o per le resistenze altrui. Ma non dobbiamo mai cedere allo scoraggiamento. Sarà la vigilanza perseverante, sostenuta dalla grazia di Dio, a farci superare le eventuali difficoltà e mantenere il nostro cuore sgombro da attese fasulle, quale quella del “primeggiare” sugli altri. Ancora una volta, dunque, la logica rinnovatrice del Vangelo esige da noi un’autentica conversione del cuore e della mente. Una svolta personale e comunitaria, per concorrere tutti insieme, con impegno e generosità, a testimoniare quella “Chiesa col grembiule” di cui parlava don Tonino Bello, una Chiesa che sa chinarsi con prontezza ai piedi degli ultimi, per servire con amore e concretezza ai veri bisogni dell’umanità.

» XXIX Domenica del Tempo Ordinario, 18 ottobre 2015