Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Un’attenzione più accorta all’equivalente greco della parola sconfitta (ἧσσα/èssa) e del relativo verbo (ἡσσάομαι/essàomai) permette di evitare due atteggiamenti inaccettabili: considerare comunque e a tutti i costi la sconfitta come una benedizione o vederla come una disfatta irreparabile.
La sconfitta rappresenta sempre una frattura tra le aspettative e la realtà. Ed è accompagnata, in genere, da frustrazione e tristezza. Una strada per non rimanere vittima della polarizzazione della sconfitta – tra benedizione a tutti i costi e disfatta irreparabile – la indica l’equivalente greco della parola sconfitta e del relativo verbo.
Le parole greche non escludono dal loro campo semantico la condizione di chi è stato vinto, superato. Però, secondo il vocabolario greco Rocci, entrambe fanno riferimento anche alla debolezza, alla fragilità, a qualcosa che è mancato per raggiungere l’obiettivo e ha determinato la sconfitta: carenza di energie o di preparazione, superiorità dell’avversario ecc.
Lo sconfitto è quindi uno che ha presentato un limite nella sua performance. Non aver raggiunto l’obiettivo desiderato non ne fa un fallito, un incapace. La sconfitta subita non lo definisce. Anzi, prenderne atto – afferma E. Cioran – lo aiuta ad avere una visione più realistica di sé. Può rimettere in moto il desiderio di porre rimedio alla sconfitta e tramutarsi in energia positiva per la sfida successiva. A patto però di prendersi cura della ferita che la sconfitta ha lasciato; di trattarla con riguardo. Relativizzando la cultura della vittoria a tutti i costi, che invoca standard sempre più elevati, in ogni ambito della vita e nelle relazioni. La vittoria come scopo unico dell’agire. Dove l’importante è il podio; come ci si salga sopra, non conta.
È lo stile di chi scioglie ogni legame che connette il successo all’etica e al rispetto per i diritti e la dignità altrui. Come avviene, ad esempio, in quella politica che si nutre del cinismo del potere e della esibizione sfacciata della forza.
La sconfitta più grande, in questi casi, la si subisce quando il nemico riesce a farti agire come lui, a usare i suoi strumenti, a pensare come lui e a seguire la bassezza dei suoi metodi e del suo comportamento. Per quieto vivere, questa sconfitta non va mai celebrata né trasformata in una favola dal finale felice. Va piuttosto accettata, vissuta e raccontata, per restituirle dignità. Testimoniando, così, che la vita non è un inutile susseguirsi di momenti perfetti, all’apparenza. È invece il continuo, faticoso ed esaltante percorso che permette di progettare e di godere. Anche in presenza di cicatrici dovute alle sconfitte subite.