Mostro

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Prima Erodoto (V sec. a.C.), poi Ctesia di Cnido (IV sec. a. C), seguiti da Megastene e Plinio, hanno considerato i mostri come antichi compagni di viaggio degli esseri umani. La loro presenza è attestata nelle antiche mitologie, nelle tradizioni religiose e popolari e nelle fiabe.
Vi è però una profonda differenza tra il mostruoso degli antichi e quello moderno. A differenza, infatti, dell’idea prevalsa a partire dal Medioevo, i mostri possono essere presenze positive, oltre che negative. Sempre comunque carichi di significati simbolici anche complessi, che ha spinto a interpretarli e decodificarli per renderli familiari e reintegrarli nella nostra cultura.
Non la pensa così Aristotele che, all’interno del discorso sulla dissimiglianza tra figlio e genitore, afferma che «il mostro appartiene alla categoria dei prodotti che non rassomigliano ai loro genitori» (Riproduzione degli animali). Pur tenendo conto della sua etimologia, il filosofo greco dà alla parola mostro un significato esclusivamente negativo.
Eppure, il termine mostro deriva dal latino monstrum (fuori dall’ordinario, portento, prodigio, segno divino) e ha la stessa radice del verbo monēre (avvisare, ammonire). Certo, al suo cospetto si può provare horror o devotio. L’equivalente greco di monstrum (τέρας/téras) ha il significato di portento, prodigio, miracolo, ma anche di segnale. Solo secondariamente diventa una cosa terribile.
Nell’opera dialogica De divinatione, che Cicerone dedica al tema dell’aruspicina e alla dottrina latina dei presagi, il politico e filosofo romano ritiene che i mostri si chiamino così perché monstrant (indicano e ammoniscono) e rimandano a qualcosa che la divinità ha voluto creare per insegnarci questa o quella verità, o per avvertirci della presenza di questo o di quel pericolo.
Per sant’Agostino, monstrum è il nome che si dà, in quell’opera d’arte che è la creazione, a tutto ciò di cui non comprendiamo il senso. Di fatto, esso è un elemento di diversità che contribuisce alla bellezza dell’universo (L’ordine, I, I, in Dialoghi I).
Come si vede, la parola monstrum ha subìto la stessa sorte di altri termini che, pur avendo originariamente un’accezione positiva, si volgono in negativo. Uno stravolgimento, in questo caso, riconducibile ad alcuni ambienti ecclesiastici.
È difficile, o perlomeno problematico, purificare del tutto il campo semantico relativo alla parola mostrum e recuperarne il significato di prodigio, portento, segno divino. Non si può rinunziare però a coltivare uno sguardo più accogliente nei confronti di tutto ciò che, non compreso, diventa con facilità vittima di comode omologazioni e di auspicate finte uguaglianze.

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