Le ferite dell’umanità esigono la compagnia della Chiesa

Relazione al Convegno Annuale 2015, organizzato dall’Unione Apostolica del Clero-Federazione Italiana, dal tema Pastori di una Chiesa “col” mondo. Rileggiamo la Gaudium et spes alla luce della Evangelii Gaudium, che si è svolto presso la Casa Divin Maestro di Ariccia (Rm) dal 26 al 28 ottobre 2015


Feriti perché … segnati da infelicità

Con il consueto stile immediato, carico di una forza profetica che evoca, con semplice ma lucida profondità, la missione della Chiesa, chiamata a fasciare le piaghe dell’uomo di oggi – nel corso dell’omelia mattutina del 5 febbraio 2015 tenuta a Santa Marta, Papa Francesco, così commentava il brano di Mc 6, 7-13: «Cosa comanda di fare ai discepoli Cristo? Qual è il suo programma pastorale? Curare, guarire, alzare, liberare […]. Alcune volte io ho parlato della Chiesa come di un ospedale da campo: è vero! Quanti feriti ci sono, quanti feriti! Quanta gente che ha bisogno che le sue ferite siano guarite! […] Questa è la missione della Chiesa: guarire le ferite del cuore, aprire porte, liberare, dire che Dio è buono, che Dio perdona tutto, che Dio è padre, che Dio è tenero, che Dio ci aspetta sempre». E di ferite – ci dice lo stesso papa – ce ne sono davvero tante. A cominciare dalle ferite della società contemporanea, che vive un’epoca di grandi schizofrenie. Da una parte, un innegabile incremento medio delle comodità e dei servizi; dall’altra, un crescente senso di insoddisfazione; un senso di insoddisfazione talvolta esplicito, altre volte ben mascherato.

Il tema della missione della Chiesa – in un contesto ancora più significativo – è stato affrontato da Papa Francesco nell’omelia pronunziata durante la S. Messa di domenica 25 Ottobre 2015, a chiusura del Sinodo sulla famiglia. In particolare, il Santo Padre ha messo in guardia da due tentazioni che vanno nella direzione opposta a quella che è la missione della Chiesa. La prima è quella di coloro che «… continuano a camminare, vanno avanti come se nulla fosse. Se Bartimeo è cieco, essi sono sordi: il suo problema non è il loro problema. Può essere il nostro rischio: di fronte ai continui problemi, meglio andare avanti, senza lasciarci disturbare. In questo modo, come quei discepoli, stiamo con Gesù, ma non pensiamo come Gesù. […]. Possiamo parlare di Lui e lavorare per Lui, ma vivere lontani dal suo cuore, che è proteso verso chi è ferito». …

» ARICCIA, Convegno U.A.C., 27 Ottobre 2015

 

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