Fobia

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Certo, il contesto familiare nel quale la mitologia greca colloca Φόβος (Phobos) non è dei più tranquilli e rassicuranti. È vero che sua madre è Afrodite, dea della bellezza; il padre però è Ares, dio della guerra, e uno dei suoi fratelli è Deimos, il terrore causato dalla guerra. Phobos e Deimos accompagnavano sempre in battaglia il loro padre Ares. Ciò basta a giustificare il significato che, nel tempo, ha assunto la parola fobia. Una irrazionale e persistente paura, sproporzionata rispetto al pericolo reale, che provoca repulsione nei confronti di certe situazioni, oggetti, attività, animali o persone. Arriva a raggiungere livelli tali da limitare l’autonomia del soggetto.
A partire dagli inizi dell’Ottocento, il termine fobia è entrato nella lingua italiana come suffisso, quale secondo elemento, cioè, di termini composti, derivati dal greco o dal latino. È così, ad esempio, per omofobia, xenofobia, islamofobia. La grande fioritura di questi termini composti si ha tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. In particolare, col progredire della classificazione delle malattie psichiatriche.
Solo dopo è stato utilizzato come lemma a sé stante. Un esempio del ricorso al termine fobia, forse tra i primi, col chiaro significato di forte avversione, lo troviamo in A. Fogazzaro.  «Sotto la usuale tolleranza cortese del suo linguaggio, la benevolenza che mostrava pure a non pochi ecclesiastici, si nascondeva una vera fobia antireligiosa» (Il Santo). Che parli di sé stesso il poeta e scrittore italiano, simpatizzante, fino all’adesione, del modernismo teologico?
Ad arginare i danni che le fobie provocano nelle singole persone ci pensano i tanti specialisti. A farle nascere e a svilupparle ci pensano, invece, i tanti che hanno la vocazione del controllo sociale. Gli strumenti dei quali si servono sono diversi. Moltiplicano, ad esempio, in maniera frenetica le misure cautelative, presentandole come rimedi alla paura e alle fobie che essi stessi hanno contribuito ad alimentare.
È un modo di fare che induce ad abbassare i livelli logici e predispone il terreno alla eteronomia. Avallando inconsciamente uno stato di paralisi mentale e sociale, nemico di una esistenza illuminata e libera. Condannando a vivere sotto il segno della negatività e a immaginare epiloghi tragici. Con continue minacce per una “celebrata” identità che, a questo punto, diviene una trappola che, per non essere contaminati, spinge alla chiusura.
Non poche volte siffatta forma di fobia può trovarsi nell’esperienza religiosa. Allora, anche le idee più belle e feconde si trasformano in pericolose ideologie.

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