Disprezzo

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Se apprezzare (dal latino pretiāre) vuol dire riconoscere il valore di qualcuno o di qualcosa, disprezzare (dis-pretiāre) è il suo contrario, per via del prefisso negativo dis. Il disprezzo poggia quindi sulla convinzione che chi o ciò che mi sta di fronte non ha alcun prĕtium/valore. È inferiore a me. O, comunque, i suoi valori non possono trovare posto nello scrigno dei miei «valori non negoziabili».
È per questo che non merita la mia attenzione, la mia considerazione, il mio rispetto. Merita solo il mio disprezzo: sentimento tra i più letali. Sentimento complesso e subdolo, al quale si può riservare solo una valutazione negativa. Perché, come ricorda Honoré de Balzac: «Le ferite incurabili sono quelle inflitte dalla lingua, dagli occhi, dalla derisione e dal disprezzo».
Eppure, il disprezzo è moneta corrente nei cosiddetti dialoghi ai quali siamo costretti ad assistere sempre più di frequente. Prende la forma di parole che feriscono e demoralizzano.
Non solo! La versione più caustica del disprezzo – l’indifferenza e la noncuranza – è accompagnata da una serie di gesti cinici, sguardi sarcastici e smorfie insopportabili, che certificano prima di tutto l’alto tasso di maleducazione di chi li esibisce. Frutti amari di un’arroganza fortemente radicata nel senso di presunta superiorità. Spesso e paradossalmente, anche di una inferiorità di sé percepita e tenuta faticosamente a bada, che paralizza la ragione.
A questi soggetti non rimane che l’arma di distruzione dell’altro. Metterlo in discussione, negarne le capacità e la sua integrità morale.
La forma più praticata di disprezzo è quello che si consuma nei confronti di coloro che non si rassegnano a scomparire. Considerati «carico residuale». Inutile zavorra per il sistema.
Non meno grave però è il disprezzo esibito nei confronti delle forme più comuni di umanità. Che dire, infatti, del disprezzo nei confronti del dolore e del valore della vita, per cui lo stesso soggetto può decidere di ricorrere a “operazioni chirurgiche”, colpendo con precisione e con armi sofisticatissime; ma anche uccidere in maniera vigliacca e indiscriminata?
E il disprezzo per la verità, contando sulla pigrizia mentale altrui?
E il disprezzo per tutto ciò che – come la bellezza e la spiritualità nelle sue varie forme – è gratuito, non commerciabile e quindi senza prezzo?
Sono forme di disprezzo diffuso che hanno assunto, in questi anni, proporzioni inedite. Tanto da autorizzare a considerare la nostra come un’«epoca del disprezzo». In essa, come avvertiva I. Kant, il vero pericolo risiede nella capacità peculiare che ha il disprezzo di disumanizzare sia chi disprezza sia coloro che ne sono colpiti (Critica del giudizio).

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