La solennità liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce – come tante altre feste – ci è giunta dalla Chiesa d’Oriente a partire dal VI secolo. Ci è giunta col suo carico di simbolismo, oltre che di verità storica.
La verità storica lega questa festa al ritrovamento della reliquia della Croce di Gesù da parte dell’imperatore Eraclio, nel 628, dopo il ritrovamento della stessa Croce ad opera di S. Elena, madre dell’imperatore Costantino[1].
Le letture della Liturgia ci raccontano la carica simbolica ed il significato profondo che la Croce e Colui che su di essa è stato inchiodato – Gesù Crocifisso – hanno per la vita di ogni uomo e per la intera umanità.
A differenza di quanto, in maniera pretestuosa, si è scatenato intorno alla presenza del Crocifisso negli ultimi tempi, la storia ci dice che sempre la Croce ed il Crocifisso sono stati percepiti come intensa ed amorevole espressione della presenza di Dio nella vita spesso faticosa dell’uomo. Come faticosa è stata l’esperienza fatta dal popolo di Israele descritta dalla prima lettura di oggi. La prima lettura infatti comincia con una affermazione molto realistica: «Il popolo non sopportò il viaggio».
La storia di Israele, come la storia di ognuno di noi, è vista come un viaggio. E, come in ogni viaggio, vi sono momenti di smarrimento e di stanchezza che possono anche culminare in ribellione: «… ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto».
Ed è proprio nel bel mezzo di questo faticoso momento del viaggio di Israele che il Signore si fa presente indicando dove sta la salvezza ed il superamento del momento di fatica e di smarrimento: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita».
Al popolo di Israele aggredito da tutte le parti dai serpenti nel deserto viene chiesto di alzare lo sguardo in alto verso quel segno posto sull’asta.
A noi, che come il popolo di Israele, nel deserto della nostra vita, spesso facciamo esperienza di stanchezza, facciamo esperienza dei morsi velenosi del peccato e non manchiamo di ribellarci, oggi viene chiesto di alzare lo sguardo in alto. Ci viene chiesto di alzare lo sguardo verso Gesù Crocifisso, segno dell’amore reale col quale il Signore si accosta all’uomo che sente il peso del viaggio e che fa fatica a tenere dritta la rotta della propria vita.
Su quella Croce posta in alto e che è al centro della festa di oggi ha trovato compimento un amore portato fino in fondo. Su quella Croce Gesù è salito «perché – come afferma la Scrittura – nessuno si perda e perché ciascuno viva» (Gv 6,39).
Al centro della nostra festa quindi non sta uno strumento di tortura o un insopportabile strumento di sofferenza; al centro della nostra venerazione, della nostra preghiera e della nostra riflessione sta la logica che ha portato Gesù a morire su quella Croce, che è la logica di un amore che si spende fino in fondo e senza riserve.
Una comunità che fa festa intorno al Crocifisso è una comunità che vede – nella Croce e nella logica di amore che ha portato Gesù a morire sulla Croce – la possibilità di un nuovo inizio. É una comunità che vede nella Croce e nella logica che ha portato Gesù a morire sulla Croce un’inversione di marcia, che dalla disperazione porta alla speranza, dal lutto porta alla gioia e dall’egoismo porta alla condivisione.
Fare festa intorno al Crocifisso ed “esaltare la Croce”, come afferma la Liturgia, vuol dire “esaltare” e mettere in maniera forte ed evidente al centro delle nostre decisioni lo stile di vita di Cristo, che è stile di vita fatto di amore portato alle estreme conseguenze.
E il nostro mondo, oggi più che mai, ha bisogno di gente che, con la sua vita e con le sue scelte, a costo di essere messo in Croce (non necessariamente fisicamente!) denunzia le logiche contrarie a quelle dell’amore che si dà fino a finire sulla Croce.
Non possiamo, soprattutto in questo momento storico, non ricordare tutti i cristiani che, proprio perché hanno fatto propria in maniera seria la logica della Croce – che è logica di un amore senza limiti – hanno subito e stanno subendo il martirio. Alcuni numeri ci danno la misura di un dramma che trova poco o comunque insufficiente spazio nella cronaca. Pensate che il Cristianesimo ha avuto totalmente 70 milioni di morti, 45 milioni nel ventesimo secolo.
La Croce e l’amore che sulla Croce si è fatto crocifiggere ci interrogano. Interrogano innanzitutto il nostro modo di rispondere a quell’amore: interrogano il nostro modo di testimoniare e far vivere quell’amore. Se noi, credenti in Gesù Crocifisso, non orientiamo tutta la nostra vita all’amore, un amore vissuto, donato e testimoniato … tradiamo le nostre origini.
Il nostro mondo è stanco, non solo di gente che apertamente vive solo per il proprio tornaconto; ma è stanco – il nostro mondo – anche di gente che ha paura di compromettersi con uno stile di vita credibile perché fatto di lealtà e di dedizione piena.
Il nostro mondo ha bisogno non solo o non tanto di croci e crocifissi piazzati ovunque; ha bisogno invece di amore piantato e piazzato ovunque. E se il Crocifisso ci ricorda questo e ci spinge a questo, allora ben vengano le Croci e i Crocifissi disseminati ovunque.
Ho però l’impressione che spesso tutto si riduca a mera esibizione della Croce in tutte le sue forme, e che questa serva solo per metterci la coscienza a posto!
Siamo qui, oggi, per dire a Gesù Crocifisso che vogliamo essere suoi discepoli; sapendo che essere suoi discepoli vuol dire combattere, come Lui, una lotta gioiosa con le armi della carità contro lo strapotere di chi offende la giustizia e la speranza. Sapendo che essere suoi discepoli vuol dire scegliere di schierarsi con gli ultimi, nei quali Gesù si lascia incontrare: nella fame di chi ha fame, nella sete di chi ha sete, nel dolore di chi soffre.
Cristo non gode della nostra sofferenza: dalla Croce intende gridarci la forza rivoluzionaria dell’amore, ricordandoci che il cristiano non teme la morte, teme piuttosto lo squallore della vita. Il cristiano non teme la morte, teme piuttosto una vita priva di senso, colma soltanto di cose. A Gesù crocifisso viene rivolto un invito/sfida: «Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce e ti crederemo».
Gesù da quella croce non è sceso! E noi gli crediamo proprio perché ha scelto di non stupirci scendendo dalla croce. Gli crediamo perché è rimasto lì come tanti uomini e donne che non ce la fanno a lasciare la loro croce di sofferenza e di fatica di vivere. Gli crediamo perché è rimasto lì per dirci quanto lui condivide la nostra sofferenza.
Contemplato l’immagine del Crocifisso e quelle braccia, straordinariamente aperte in un impercettibile abbraccio ed il volto espressivo ed eloquente, in uno sguardo di amore ma anche di seria consapevolezza della fatica e del dolore di ogni uomo, uno sguardo che richiama gli sguardi con cui il Signore Gesù, e questo ce lo attestano chiaramente i Vangeli, si rivolgeva non solo ai suoi amici ma anche a chi poi decideva di non condividere la sua strada: «… e guardandolo, lo amò» (Mc 10,21).
Questa amorevole comunicazione fra Dio e l’uomo avviene nel silenzio: il Crocifisso non proferisce parola, eppure parla a tutti. Questo silenzio del Crocifisso da sempre ha offerto una consolazione all’afflitto, una speranza a chi si vedeva cascare il mondo addosso, una parola d’amore a chi si sentiva abbandonato da tutti, una indicazione ai dubbiosi, una provocazione a chi aveva perso il senso ed il valore della dignità dell’uomo, un richiamo all’universalità di fronte alle mille tentazioni di chiudersi dentro le proprie “quattro mura”: uno sprone a fidarsi di Dio nell’incertezza, una forte ancora di resistenza di fronte al male spesso seducente e accattivante, un Compagno di viaggio nell’ultimo esodo rappresentato dalla morte. In questo silenzio eloquente tutti, proprio tutti, intendono e intendiamo questo linguaggio chiaro e forte: il linguaggio dell’amore di Dio per ogni uomo!
[1] Questi fece costruire a Gerusalemme una basilica sul colle del Calvario e un’altra sul Sepolcro di Cristo Risorto. La dedicazione di queste basiliche avvenne il 13 settembre del 335. Il giorno seguente si mostrava ciò che restava del legno della Croce del Salvatore. Da quest’uso ebbe origine la celebrazione del 14 settembre come festa dell’Esaltazione della Santa Croce.