Mancanza

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

«Di che è mancanza questa mancanza, / cuore, / che a un tratto ne sei pieno?».
È la domanda che il poeta Mario Luzi, in un commovente dialogo, pone al suo cuore. Teme che si lasci anestetizzare dall’abitudine. Che si accontenti e smetta di desiderare. Per questo lo invita a riconoscere una mancanza che grida e chiede di essere riempita. Non certo con cibi o con tutto ciò che può lasciare il cuore sempre più affamato.
Lo invita a coltivare la mancanza che i Greci chiamavano ἀπουσία (apousìa). Parola composta da ἀπó (apò, avverbio che indica lontananza, assenza) e oυσία (ousìa, essenza, sostanza). Letteralmente, sembra alludere alla sensazione interiore avvertita da chi sa di non avere ancora raggiunto ciò per cui si è fatti. La sensazione, cioè, che manchi ancora la oυσία (essenza, sostanza). Quella che fa dire a sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Confessioni I, 1,1).
La mancanza che rende inquieto il cuore di Agostino è la stessa che suggerisce a chi è innamorato/a lo struggente “mi manchi!”. Una mancanza che non induce a pensare a qualcosa di negativo, a un “meno”. Invoca piuttosto qualcosa o qualcuno che manca, sì, ma di cui si avverte struggente bisogno.
Certo, esiste anche la sensazione negativa di mancanze che mortificano, senza che si intraveda traccia di ciò che possa riempirle. Anche queste mancanze vanno ascoltate. Possono trasformarsi in esperienze e luoghi in cui matura un positivo senso del proprio limite.
Nell’esperienza della mancanza affonda le sue radici la consapevolezza tutta interiore di poter desiderare altro e di più. Ascoltata, questa mancanza può orientare al compimento pieno della propria vita e indicare la direzione giusta da seguire. Quella alla quale Mario Luzi vuole sia rivolto il suo cuore, nei versi tratti da Sotto specie umana (1999). «Viene, / forse viene, / da oltre te / un richiamo / che ora perché agonizzi non ascolti. / Ma c’è, ne custodisce forza e canto / la musica perpetua… ritornerà. / Sii calmo».
La feconda mancanza che abita il cuore di Mario Luzi e di Agostino, al netto del male che certi vuoti possono provocare, può rappresentare una grazia. Se fossimo pieni, noi non avremmo bisogno di altro e dell’A/altro. Non riusciremmo ad andare oltre la soglia dei nostri bisogni.
Possiamo dire, allora, che l’eterna sensazione di mancanza e certe assenze ci definiscono. In senso positivo. Ci ricordano che non siamo fatti per l’abitudine e non siamo destinati a essere dei replicanti.
Vivere da esseri mancanti la presenza delle cose e soprattutto quella delle persone aiuta ad allontanare la tentazione del possesso.

Mancanza

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