Astuzia

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Μῆτις (metis) e πανουργία (panourgia) i termini che, in greco equivalgono alla parola italiana astuzia.
La prima gode di una concezione sostanzialmente positiva. Qualità che indica intelligenza vivace e pratica. Capacità di adattarsi alle circostanze e di districarsi nelle avversità. Grazie all’arte comunicativa e a quella di scegliere tempi e mezzi idonei per cavarsi da impicci e volgere a proprio vantaggio situazioni problematiche.
Eppure, nel concetto e nella prassi, ancor più che nella parola astuzia, un tasso di sostanziale ambiguità è possibile trovarla.
Omero riconosce al polymetis Ulisse un ingegno versatile. Tanto da farne il perfetto interprete della μῆτις. Questa dote gli consentì di salvare sé stesso e i suoi compagni dal ciclope Polifemo, ma con l’inganno gli fece anche ideare il cavallo di Troia. Permettendo ai Greci di aver la meglio sui Troiani.
Per l’ambiguità della sua μῆτις, Dante colloca Ulisse nel canto XXVI dell’Inferno: ottava bolgia dell’ottavo cerchio. In compagnia dei fraudolenti, le cui anime sono avvolte da una fiamma perpetua.
Un atto di coraggio quello di Dante. La stessa μῆτις aveva infatti guadagnato a Ulisse la definizione di «modello di virtù e di sapienza» da parte di Orazio, e parole di grande apprezzamento da parte di Seneca. E soprattutto di Cicerone.
L’Ulisse di Dante è tanto astuto quanto furbo e scaltro. Alla innegabile sua intelligenza pragmatica, non astratta, l’eroe omerico non disdegna di unire, secondo Dante, l’inganno per ottenere il risultato voluto a scapito di qualcun altro.
È quasi superfluo ribadire che, nell’accezione comune di questa nostra epoca, l’astuzia è dote esclusivamente positiva. Con facile compiacenza e nonostante procuri danni agli altri, l’astuto è un eroe del nostro tempo. Passa per individuo intelligente, geniale, acuto. Capace di enfatizzare le proprie capacità e di volgere tutto a suo vantaggio. Questa astuzia corrisponde alla greca πανουργία.
La stessa che Machiavelli vuole caratterizzi l’azione del suo Principe. Se intende conservare il proprio potere e lo stato stesso, questi deve imparare a mettere una chiara distanza tra il piano ideale e quello reale. Scrive infatti lo scrittore e diplomatico fiorentino: «Quanto sia laudabile in un Principe mantenere la fede, e vivere con integrità, e non con astuzia, ciascuno lo intende. Nondimeno si vede per esperienzia, ne’ nostri tempi: quelli Principi […] che hanno saputo con astuzia aggirare i cervelli degli uomini, alla fine, hanno superato quelli che si sono fondati in su la lealtà».
La πανουργία (astuzia e malizia) del Principe è la stessa attribuita da san Paolo al serpente per ingannare Eva (2 Cor 11,3).

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