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Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Ma va dato proprio per scontato che la parola “accanto” possa essere sostituita tout court, sul piano semantico, con i suoi sinonimi quali vicino, a fianco, a lato, di presso, nei pressi?
L’avverbio accanto sembra essere una delle parole che, nella faticosa ma fertile esperienza degli incontri tra persone e con sé stessi, ispirano comportamenti e consegnano responsabilità che si traducono in cura reciproca e in cura di sé.
Ancora una volta, a sostenere questa affermazione, veniamo aiutati dal greco antico e da quello biblico in particolare. A guidarci è una pagina del Vangelo di Luca, quella del “Buon Samaritano” (10, 25-37).
Tanti i protagonisti in questa pagina. Ma anche tante le possibilità di cogliere la ricchezza e la differenza di comportamento dei protagonisti passati dalle parti del luogo dell’aggressione subita da «un uomo che scendeva da Gerusalemme».
C’è un sacerdote, un aspirante tale e un samaritano. Di quest’ultimo l’evangelista dice che «ἦλθεν κατ’αὐτὸν»: passò accanto. Mentre, di ognuno degli altri due, Luca osserva che ἀντιπαρῆλθεν: passò oltre.
L’ ἦλθεν κατ’ αὐτὸν non è semplicemente il contrario di ἀντιπαρῆλθεν.
“Passare accanto”, infatti, coinvolge il samaritano e lo spinge ad assumersi responsabilità. E non solo mentre è fisicamente a contatto col malcapitato. L’evangelista gli fa dire all’albergatore: «Abbi cura di lui e ciò che spenderai di più lo pagherò al mio ritorno».
Il passare accanto da parte del samaritano si traduce in una serie di gesti/verbi capaci di rendere la sua vita vera, viva e sensata; capaci di trasformare più delle parole e più delle facili indignazioni: «Passandogli accanto, vide… ebbe compassione… gli si fece vicino, gli fasciò le ferite… versandovi olio e vino… lo caricò… lo portò in albergo… si prese cura di lui… tirò fuori due denari».
Forse è per questo che, come si legge nel poeta Andrew Faber, «accanto è un posto che spaventa / che mette in fuga le persone / […] Accanto è un posto in cui si rischia di farsi male […] / Dove si sta perché si vuole stare / dove si resta perché il cuore ce lo chiede».
E forse è anche per questo che c’è bisogno di tempo per imparare a stare accanto, per coglierne la bellezza e la ricchezza, oltre la fatica. Che non è solo quella di capire e tentare di trovare una soluzione.
La ricchezza, la bellezza e la fatica dello stare accanto, proprio perché è più dello stare vicino fisicamente, consistono prima di tutto nella scelta di prendersi e donare del tempo. Senza sentirsi in dovere di gestire, controllare o risolvere qualcosa. E ciò può farlo solo chi ha imparato, paradossalmente, a farsi in maniera radicale, prima, buon samaritano di sé stesso.

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